L'entusiasmante racconto della prima spedizione scientifica moderna
Newton o Cartesio, chi aveva ragione? Per scoprirlo e misurare la Terra, un
manipolo di scienziati e studiosi nel 1753 s'imbarcò verso il Sud America...
Ha il piglio del romanzo d'avventura questo gustoso libro che regala ai lettori un
passaggio sulla Portefaix, la nave che il 12 maggio del 1735 salpava da
Rochefort, nella Francia sudoccidentale, per compiere la "Missione geodetica
dell'Equatore". Nel Diciottesimo secolo, infatti, era cosa nota che la Terra non
fosse perfettamente sferica, ma schiacciata ai poli e leggermente rigonfia
all'equatore, e misurare in quali punti esattamente lo fosse era di vitale importanza
per tracciare mappe accurate che agevolassero gli scambi evitando perdite
umane e disastri marittimi e commerciali.
Un unico numero... di importanza cruciale
Fino a quel momento l'idea di misurare la Terra era sembrata irrealizzabile, ma
non dovette sembrare così folle a un gruppo molto eterogeneo di studiosi
provenienti da mezza Europa e incaricati dalla Corona. Così, caricata al massimo
della capacità e con un centinaio di passeggeri fra studiosi, equipaggio e servitori,
la Portefaix lasciava la Francia diretta verso il Sud America, per chiarire una volta
per tutte se avesse ragione Cartesio (per cui la Terra ai poli risultava allungata)
oppure Newton, secondo il quale invece per effetto della forza centrifuga il globo
terrestre era dilatato all'Equatore e appiattito ai poli. Al comando della missione,
tre personaggi singolari, membri dell'Accademia di Francia. Il professore bretone
Pierre Bouguer, fissato con i numeri e molto ambizioso, ma perennemente a corto
di mezzi, che ottenne da quell'incarico una costosa strumentazione e un
avanzamento all'Accademia. Charles-Marie de La Condamine, avventuroso e
amico di Voltaire, che aveva fatto i soldi individuando una falla matematica nel
regolamento della lotteria governativa. Louis Godin, intelligente e arrogante,
meglio introdotto dei primi due, ma incapace di gestire una spedizione di quel
genere. Accanto a loro, un gruppo di tecnici specializzati, come Jean-Joseph
Verguin, ingegnere e cartografo specializzato in astronomia, che vedeva in
quell'impresa un futuro radioso e Théodore Hugo, abile orologiaio cui venne
affidato il ruolo di manutenzione degli strumenti della missione: bussole, orologi,
termometri, barometri, fino ai delicati pendoli destinati alla misurazione della
gravità della Terra. Infine Joseph de Jussieu, introspettivo e vulnerabile, medico e
botanico della spedizione, e un gruppetto di amici e raccomandati.
Tra mille difficoltà, un'impresa destinata a lasciare il segno.
Un'avventura lunga dieci anni, che per tentare di misurare sul terreno la
lunghezza di un grado di latitudine all'Equatore dovette fare i conti con tempeste e
malattie infettive, ammutinamenti e omicidi, foreste pluviali, vulcani e animali letali.
E che nel mentre ebbe anche il merito e il privilegio di compiere studi eccezionali
negli ambiti più disparati: dalla gomma ai giacimenti di platino, dalla gravità agli
arcobaleni, dal chinino all'archeologia Inca. Un'impresa epica di scienza e
sopravvivenza che Nicholas Crane, geografo ed esploratore a sua volta, racconta
con divertimento e passione: la stessa che da sempre spinge l'uomo ai confini del
mondo e delle proprie possibilità.
Nicholas Crane, giornalista, geografo ed esploratore, collabora con il «Daily
Telegraph», il «Guardian», il «Sunday Times» e con la BBC. Ha viaggiato a lungo
in Tibet, Cina, Afghanistan, Africa e ha identificato per primo il punto sulla Terra
emersa più distante da mare e oceani, che si trova nel deserto di Gobi. Autore di
numerosi libri e pubblicazioni, dal 2015 al 2018 è stato presidente della Royal
Geographical Society. Vive a Londra.